Robert Venturi, Denise Scott Brown, Steven Izenour
ISBN: 9788822901392,
2010,
pp. 240,
160x225 mm,
colour,
Quodlibet
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«Per un architetto, imparare dal paesaggio circostante, è un modo di essere rivoluzionario... la creatività dipende dall’osservare ciò che ci circonda».
Quando questo libro venne pubblicato nel 1972 scatenò immediatamente un vero e proprio putiferio: che cosa mai si può imparare da Las Vegas, la valvola di sfogo organica al puritanesimo americano nonché il territorio legalizzato gestito per anni dalle peggiori mafie del paese tanto da suggestionare il cinema, da li padrino di Coppola a Casinò di Scorsese? Forse a giocare d’azzardo, frequentare prostitute e gigolò, a bere, mangiare e fumare smodatamente magari ascoltando canzonette come Viva Las Vegas di Elvis Presley, ovvero a soddisfare qualunque basso appetito in modo legale? Venturi, Scott Brown e Izenour decisero semplicemente di studiare da vicino una città che era cresciuta a una velocità mai vista prima nel bel mezzo del deserto del Mojave come una "città miraggio". I cartelloni pubblicitari illuminati dal neon e la sua bassissima densità urbana lasciavano immaginare che Las Vegas fosse il primo esemplare di città virtuale – specie di notte – tanto che Tom Wolfe, in uno dei suoi primi reportage, scrisse che «le insegne sono diventate l’architettura di Las Vegas» anticipando di fatto la teoria progettuale dei «decorated shed» qui avanzata dalla coppia di Filadelfia. In realtà in pochi decenni la capitale del vizio, nota anche come Sin City, si trasformerà in una città molto più tradizionale circondata da campi da golf, ma questo studio resta paradigmatico perché gli autori hanno avuto il coraggio di guardare negli occhi il drago del capitalismo trionfante a scala urbana, gettando luce per la prima volta su alcune delle forze che sono alla base delle trasformazioni più dirompenti anche delle vecchie città europee, dallo sprawl al junkspace: l’uso di massa dell’automobile, della cartellonistica pubblicitaria a neon, l’uso commerciale di nuove tipologie architettoniche come il fast food, il drive in, lo shopping mall etc. Giancarlo De Carlo, con un intuito fuori dal comune, ha scritto poco prima della pubblicazione del libro che la scoperta di Las Vegas e la sua interpretazione in chiave pop sono due fatti che hanno «allargato lo spettro della comunicazione umana perché hanno introdotto nell’uso comune alcune forme di espressione che sino ad allora erano state considerate irrilevanti o addirittura esecrabili [...] La scoperta della trivialità, d’altra parte, rappresenta soprattutto un’ultima scrollata dissacrante al vecchio principio secondo il quale l’Arte è rappresentazione del Bello».
«Per un architetto, imparare dal paesaggio circostante, è un modo di essere rivoluzionario... la creatività dipende dall’osservare ciò che ci circonda».
Quando questo libro venne pubblicato nel 1972 scatenò immediatamente un vero e proprio putiferio: che cosa mai si può imparare da Las Vegas, la valvola di sfogo organica al puritanesimo americano nonché il territorio legalizzato gestito per anni dalle peggiori mafie del paese tanto da suggestionare il cinema, da li padrino di Coppola a Casinò di Scorsese? Forse a giocare d’azzardo, frequentare prostitute e gigolò, a bere, mangiare e fumare smodatamente magari ascoltando canzonette come Viva Las Vegas di Elvis Presley, ovvero a soddisfare qualunque basso appetito in modo legale? Venturi, Scott Brown e Izenour decisero semplicemente di studiare da vicino una città che era cresciuta a una velocità mai vista prima nel bel mezzo del deserto del Mojave come una "città miraggio". I cartelloni pubblicitari illuminati dal neon e la sua bassissima densità urbana lasciavano immaginare che Las Vegas fosse il primo esemplare di città virtuale – specie di notte – tanto che Tom Wolfe, in uno dei suoi primi reportage, scrisse che «le insegne sono diventate l’architettura di Las Vegas» anticipando di fatto la teoria progettuale dei «decorated shed» qui avanzata dalla coppia di Filadelfia. In realtà in pochi decenni la capitale del vizio, nota anche come Sin City, si trasformerà in una città molto più tradizionale circondata da campi da golf, ma questo studio resta paradigmatico perché gli autori hanno avuto il coraggio di guardare negli occhi il drago del capitalismo trionfante a scala urbana, gettando luce per la prima volta su alcune delle forze che sono alla base delle trasformazioni più dirompenti anche delle vecchie città europee, dallo sprawl al junkspace: l’uso di massa dell’automobile, della cartellonistica pubblicitaria a neon, l’uso commerciale di nuove tipologie architettoniche come il fast food, il drive in, lo shopping mall etc. Giancarlo De Carlo, con un intuito fuori dal comune, ha scritto poco prima della pubblicazione del libro che la scoperta di Las Vegas e la sua interpretazione in chiave pop sono due fatti che hanno «allargato lo spettro della comunicazione umana perché hanno introdotto nell’uso comune alcune forme di espressione che sino ad allora erano state considerate irrilevanti o addirittura esecrabili [...] La scoperta della trivialità, d’altra parte, rappresenta soprattutto un’ultima scrollata dissacrante al vecchio principio secondo il quale l’Arte è rappresentazione del Bello».
ISBN: 9788822901392,
2010,
pp. 240,
160x225 mm,
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Quodlibet